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Cronaca di un’esperienza (extra) ordinaria all’Osteria Francescana



Ufficialmente vai all’Osteria Francescana per mangiare in un ristorante tre Stelle Michelin. In verità ti ritrovi a vivere una performance artistica incentrata sul cibo. Che comprende ingredienti e preparazioni tipicamente italiani trasfigurati, finiti in piatti con mille identità gastronomiche differenti, tra colori, consistenze e profumi assoluti, in un viaggio fantastico intorno al globo, sulle note musicali (virtuali) dei Beatles, il gruppo più universalmente pop di tutti i tempi.

Sognavo questo momento da molto. Ho tentato numerose volte negli ultimi anni di prenotare un tavolo... e poi è successo.


Non è stata la mia prima volta in un ristorante stellato, ma di sicuro la prima in cui mi sono documentata e ho studiato i piatti, perché volevo arrivare preparata, e assimilare il più possibile ogni colore, sapore, profumo e ingrediente delle undici incredibili portate del menu degustazione della Francescana. Un menu nato proprio durante i mesi di chiusura forzata. Che per assurdo, senza la follia del lockdown, non sarebbe mai stato elaborato dallo chef e dai suoi collaboratori in cucina. Il tema portante del menù è la biodiversità, insieme all’inclusione e al concetto che, detta terra terra, siamo tutti sulla stessa barca. E poi c’è la stagionalità e il desiderio di proporre un percorso fresco, primaverile e allegro, ottimista, sincero. Mi verrebbe da dire… specchio dell’anima modenese di Massimo Bottura.

La cronaca di questo pranzo inizia ancora prima di varcare la soglia della Francescana. Arriviamo davanti l’Osteria e parcheggiata di fronte l’ingresso c’è la fiammante Maserati blu elettrico di Bottura. Non sto nella pelle. Vuol dire che lui c’è e se sono fortunata riesco a conoscerlo. Sui sedili, un camice bianco da cuoco e una confezione di Benagol.

Anche gli chef hanno il mal di gola! Ma come! Ironicamente, ho subito capito il perché. All’improvviso un boato di voci e chiasso è arrivata dai locali della cucina. Riconoscibilissimo, con il suo marcato accento modenese: lo chef stava incitando a gran voce i suoi ragazzi per caricarli prima del servizio.

Hanno pure festeggiato il compleanno di un componente della brigata. Probabilmente hanno mangiato il tiramisù, il dolce che preparano di solito in queste occasioni. L’ho letto in un articolo...

La mia eccitazione comincia a salire, sono indecisa se farmi o no la foto davanti l’insegna del ristorante, poi rifletto tra me e me che se non la faccio mi pento per i prossimi dieci anni… Scatto veloce e controllatina per verificare di essere uscita decente, quando vedo un ragazzone sbucare da una porta adiacente, che si mette a giocherellare con un cellulare. È Charlie!

C’è un via vai di persone tra i due edifici adiacenti, quelli del ristorante e quelli degli uffici dove avranno fatto acrobazie per spostare e riprogrammare tutte le prenotazioni (inclusa la mia) saltate da marzo fino al 2 Giugno.

Qualche componente della brigata che chiacchiera in lontananza, e gli ultimi preparativi prima di dare inizio allo spettacolo. Charlie se ne sta per i fatti suoi, ma sembra decisamente abituato a quella routine pre-show e alle persone sparse nei dintorni dell’ingresso dell’Osteria, in diligente attesa per entrare allo scoccare delle 12:30.


Siamo tutti lì, tutti che cerchiamo con finta disinteresse di carpire quello che sentiamo in lontananza, che scattiamo foto e ci gustiamo questi attimi pieni di aspettativa. Poi spunta anche Bottura: lo vedo, allora c’è sul serio e sono ancora più esaltata! Immancabili New Balance e un paio di braghe blu scuro, chiaramente di Gucci, addirittura personalizzate con le iniziali in formato gigante “MB”. Ho pensato che solo uno come lui avrebbe potuto indossarle con così tanta naturalezza e soprattutto mettercisi ai fornelli!

Ci siamo. Ora si entra e si inizia davvero. Installazioni, quadri e arte contemporanea ovunque. È già un’anticipazione di quello che verrà dopo, a tavola. Nelle tre salette ognuna con quattro tavoli, l’atmosfera è elegante ma rilassata. I ragazzi in sala sono impeccabili in abito scuro e tutti giovanissimi.


Descrivere la bellezza dei piatti, superfluo. Provare a raccontarne la bontà, ancora più inutile. Piuttosto, ha senso riferirsi alle tre ore a tavola come a una lunga performance gastronomica sperimentata sul proprio palato. In viaggio, tra ingredienti locali e altri provenienti letteralmente dall’altra parte del globo. Ci sono Modena e l’Emilia, persino il mio Abruzzo nel Trebbiano abbinato alle prime due portate: LSD in versione vegetale e un pane sfogliato da “strappare” con le mani, burroso e voluttuoso, praticamente la rappresentazione del peccato capitale della Gola, tra salato e dolce, da divorare boccone dopo boccone, dimenticandoti di regole e bon ton. Il pane: a pensarci bene, il cibo perfetto per placare la fame “chimica” successiva a un viaggio fatto con acidi di… frutta e verdura!


Poi arrivano l’Asia, i dumpling con una sfoglia così sottile ed elastica da far invidia alle rezdore emiliane! il Giappone è dietro l’angolo, con origami sottaceto e il sake di Yuzu. Eccomi a Bangkok con una rielaborazione del curry verde da commuoversi. Lo chef racconta che la ricetta originale se l’è fatta spiegare da una signora del posto, e che poi tornando in Italia quello stesso curry è stato alleggerito e rivisitato. C’è stato persino un tuffo negli anni Ottanta (e apparentemente, a detta dello chef, potrebbe non essere l’ultima volta!) con un risotto alle fragole e lambrusco, gamberi crudi sul fondo e mozzarella affumicata con un profumo che si sentiva per tutta Via Stella.

Sono volata fino in Nuova Zelanda, con il miele di Manuka. Ho fatto un’escursione gustativa in una grotta marina grazie a un’insalata e sono andata e la montagna, tra erbe balsamiche, ghiacciai e fragole di bosco. Per tornare infine a casa, bambina, con un dolce sormontato da una nuvola di zucchero filato.

Un vero e proprio viaggio, che non mi tolgo più dal palato.




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